Wednesday 29 April 2009

Signora mia!

Ve l'ho detto che ho fatto gli anni? Come sarebbe a dire "di nuovo"? Li faccio una volta all'anno, come tutti voi.

La novità è che, per la prima volta da quando ho smesso di invitare i miei compagni di classe a casa il sabato pomeriggio a sfondarci di coca cola e patatine, ho festeggiato il mio compleanno.
È stata una giornata speciale, e ho ricevuto talmente tanti auguri che ci ho fatto l’abitudine e il giorno dopo ne ho sentito la mancanza.

Ho giocato a fare la birthday girl, circondandomi di amici che mi hanno riempito di regali in cambio di free drink (scambio equo, in fondo si tratta del mio compleanno).
Ho fatto di tutto per allontanare la tentazione di fare il punto della situazione, di tirare le somme e per evitare di ritrovarmi sola a riflettere sulla caducità del tempo. Ma non è servito: appena la sveglia ha spalancato le porte sul mio secondo giorno da ventisettenne sono piombata in una pericolosa depressione post-compleanno.

Non riuscivo a tener ferme le domande che mi affollavano la testa: chi sono? Cosa sto facendo? Dove andrò? Cosa voglio? Cosa spero? Come mi vesto domani? Cosa mangio stasera?

Ci ho messo una settimana, e ci sono dovute dosi massicce di iPod per coprire tutti questi inconcludenti dubbi esistenziali con il patinatissimo nuovo disco degli Yeah Yeah Yeahs.
You’re a Zero-oh. What’s your name. No one’s gonna ask you, better find out where they want you to go-oh”.
Grazie a Karen O sono di nuovo frivola e contenta. E ho deciso che da grande voglio fare la rockstar.

Pensando all’età che avanza ho realizzato che in me c’è uno scarto tra l’età anagrafica, in caduta libera verso i 30, e la maturità che dovrei aver acquisito negli anni e di cui invece sono sprovvista. La maturità è un optional?
Mi sento come in quei film in cui i protagonisti si scambiano il corpo, il figlio entra nel corpo del padre e viceversa. E i due così ricollocati si trovano a scambiarsi anche le vite.
Devo assolutamente trovare la Claudia adolescente straordinariamente posata e riflessiva e chiederle indietro l’involucro, che non è molto diverso da quello in cui giro di questi tempi, ma richiede comunque meno manutenzione (10 anni fa non facevo l’appello dei capelli bianchi tutte le mattine).

Fosse per me, continuerei a comportarmi come la supergiovane che penso di essere.
Il problema è che gli altri, ingannati dall’involucro esterno, non mi vedono più tanto giovane e inavvertitamente me lo fanno notare. Ne ho avuto conferma proprio il mese scorso, quando, se vogliamo fare i pignoli, avevo ancora 26 anni.

Vado al concerto dei Franz Ferdinand. Arrivo al Palasharp senza biglietto. Se fossi stata davvero giovane, avrei provato a scavalcare, la scaltrezza datami dall’età mi ha invece calamitato al primo capannello di bagarini. Mi metto a osservare un bagarino napoletano –di quelli d.o.c.- che cerca di intortare un gruppo di ragazzini con lo zainetto. Non faccio nemmeno in tempo a capire cosa sta succedendo che vengo coinvolta nella trattativa: “compri? Vendi? Quanti ne hai? Quanti ne vuoi? Io rilancio, da consumata frequentatrice di bische: “a quanto me lo lasci?” e il bagarino: “al prezzo del concerto”. Faccio retromarcia, e ci piazzo anche la giustificazione ideologica: “allora a questo punto vado a comprarlo in biglietteria.” Mi avvio a passo deciso sulla strada della legalità, il bagarino mi insegue per una decina di metri con l’ultima offerta, poi mi manda elegantemente a cagare e ritorna sui suoi passi.

Ma appena mi metto in fila al botteghino mi accorgo che dal gruppo di ragazzetti con il biglietto da piazzare se ne stacca uno e viene verso di me. Mi raggiunge e mi fa: “Signora, se vuole glielo vendo io il biglietto!”.
L’istinto vacilla: vorrei ringraziarlo e insieme sputargli in un occhio. Invece resto lì. Impiantata nell’asfalto con la mascella crollata dallo stupore: Signoooora? A me? Ma mi hai visto?
È vero che tu vai ancora alle superiori, e tra noi ci sono 10 anni di differenza, ma mi trovi in jeans e All Stars fuori dal concerto dei Franz Ferdinand… Ti sarai pure accorto che faccio di tutto per sembrare giovane, non vanificare così i miei sforzi! Però ti assolvo, dai, che mi hai fatto un prezzaccio e sei stato tanto cariiiinoooo.

Vi farà piacere sapere che al concerto non ho avuto dubbi se rimanere sugli spalti o gettarmi sotto il palco, dove, lottando per la sopravvivenza, ho saltellato e canticchiato tutta sera. Perché Claudia, quando è frivola e contenta, canta a squarciagola “it’s always better on holyday, so much better on holyday, that’s why we only work when--- we need the money”

Monday 27 April 2009

God save youtube

Stamattina, dopo l'ottavo snooze abortito, brancolando nel buio nel tentativo di raggiungere la finestra, ho lasciato un piede sulle doghe del letto. Non chiedetemi come ho fatto, sono incredibilmente creativa quando si tratta di incidenti domestici.
Zoppicando mentre ancora insultavo il mio futon, tanto bello quanto scomodo (come le scarpe col tacco), ho misurato la stanza fino alla finestra e alzato con cautela la tapparella, tenendo gli occhi chiusi per abituarmi gradualmente alla luce. Luce che fuori, nonostante l'alba fosse passata da un pezzo, non c'era. Non tanta, almeno, e corredata da cielo di ghisa, pioggia e vento gelido.
Ma non era arrivata la primavera?
E non è più una questione di mezze stagioni: a Milano è inverno da 6 mesi ormai…

Serrande alzate su una nuova giornata di merda. Morale ai minimi storici.

Restando in uno stato di dormiveglia, mi sono trascinata fino in ufficio. Seguendo gli automatismi tipici di chi occupa una scrivania in un open space ho sceso un caffè dalla macchinetta, acceso il computer e fatto il primo giro su internet.

E poi l’imprevedibile e labirintica catena di link della mia rassegna stampa mi ha portato qui. E il mio lunedì ha svoltato.



E dato che youtube spinge all'emulazione e gioca al rilancio, questa perla di idiozia non è rimasta sola, ma è stata infilata a formare la lunga collana degli esperimenti più o meno riusciti dei moltissimi che si sono cimentati sull'argomento Sitar Hero.
Vi lascio con quello che per me è il capolavoro. Un po' spy story, un po' documentario, un po' melodramma...

Tuesday 21 April 2009

Paura e delirio alle poste

In ufficio è diventata ormai slogan questa battuta -che battuta non voleva essere- del nostro amato Valerio, redattore specializzato nella caccia all'ospite impossibile e distributore automatico di pillole di saggezza. Un specie di Buddha a gettoni. Ma più magro.

Open space, un giorno come altri, 7 di sera passate...

Valerio: Marco, ma dove vai!!?
Marco: a casa...
Valerio: NO ,TU NON STAI ANDANDO VIA, TU TI STAI ARRENDENDO!

Ecco, a me è capitato di provare la stessa sensazione di resa incondizionata settimana scorsa, durante la mia ultima incursione alle poste. La mia resistenza è durata 20 minuti, prima di abbandonare il campo, battendo in ritirata.

Chiamatemi tradizionalista, ma quando devo spedire una lettera, io vado ancora in posta. Mi presento quindi all'ufficio, busta in mano, e soldi contati per il francobollo. Forse sono vintage perché sono rimasta l'unica che scrive le lettere?

Mi si para davanti il totem distributore di numeri, che non serve per le estrazioni del lotto ma è una versione upgrade di quell oggetto rosso e rotondo che si trova ancora al banco del salumiere. Dopo attento esame, schiaccio il bottone delle spedizioni: numero fortunato, 22; numero che splende come un'aureola sulla testa dell'impiegato specializzato in spedizioni, 19.
Non c'è male, penso, in fondo ho davanti solo due persone.

Mai moto di ottimismo fu più fuori luogo. Scopro molto presto infatti che i due numeri che mi precedono sono
  • una segretaria corredata da 15 raccomandate con ricevuta di ritorno, che si mette a compilare diligentemente a mano in bella grafia una per una.
  • una coppia sudamericana probabilmente prossima al trasloco, impegnata a scrivere freneticamente indirizzi su un numero indefinito di scatoloni che continuano a comparire.
Comincio a sudare freddo. Mi guardo in giro in cerca di solidarietà: nessuno sembra cogliere la mia richiesta di aiuto.
E lì vengo colta da un'illuminazione: è un vizio di forma dire che in posta ci vanno solo gli anziani a ritirare le pensioni... Non tutti quelli che si trovano alle poste infatti erano già anziani quando sono entrati: un buon numero di simil-pensionati sono gli irriducibili che hanno deciso di aspettare il proprio turno e sono invecchiati lì, a prendere polvere come le collezioni di francobolli destinate ai filatelici.

A un certo punto, la fila davanti all'impiegata che si occupa di bollettini si esaurisce. L'impiegata, visibilmente nel panico, comincia a snocciolare numeri non ancora assegnati a persone. Per aiutarla, e per aiutarmi, mi avvicino e le dico: "guardi, io dovrei solo spedire una lettera, non è che posso chiedere a lei?". Lucida la risposta: "Ma io non ho i francobolli! Deve mettersi in fila per le spedizioni". Di fronte a tanta determinata ostinazione, non ho il coraggio di replicare: "se lei alzasse il suo grosso culo dallo sgabellino e si spostasse 2 metri alla sua sinistra, un francobollo riuscirebbe pure a recuperarlo, dalla scrivania del suo collega", ma saluto educatamente, giro i tacchi e mi allontano, con la busta ancora in mano, ma sollevata all'idea di non dover raggiungere l'età della pensione nel tentativo di spedirla.

Proverò con un piccione viaggiatore. O con una email.

Tuesday 7 April 2009

MK, OK


… Se c’è mistero, accetta e rispetta la non-novità

Sono stata al concerto dei Marlene Kuntz. L’ennesimo.
Non ci sono capitata, ci sono cascata di nuovo.
In piena regressione adolescenziale, sentivo il bisogno di una dose massiccia di canzoni struggenti. Che non mi sono state regalate.

Non aspettatevi ora che vi faccia la recensione… Non sono brava a parlare di musica, dopo anni di esercizio sto imparando solo ora ad ascoltarla.
E poi scrivere di musica è come danzare d’architettura, diceva uno famoso, sicuramente un architetto chiamato a giustificare l'assurdità dei suoi progetti…

In due righe, sono uscita soddisfatta anche se ho notato un tentativo di riprendere per il colletto tutti quei fan che durante l’ultima tournee si erano persi un paio di bis perché avevano ceduto al sonno sulle comode poltroncine del teatro.

Questo il patto tra i Marlene e i suoi fan: nemmeno tacito, come patto, anzi messo a chiare lettere sul sito. Venite a sentirci e vi suoneremo tutti quei pezzi che infilavate nelle mixtape per il vostro amore delle superiori. Vi ricordate? Portavate ancora le maniche corte sopra le maniche lunghe, odiavate tutto e tutti, e un pomeriggio vi eravate sorpresi a limonare con la vostra compagna di banco tra una versione e un integrale.
E il giorno seguente l'avevate perso cercando i pezzi per farle una compilation.

Ecco perché, dopo un ingresso duro, con una canzone che parla di uxoricidio e una di suicidio, i nostri rocker incamiciati ci piazzano un medley di 10 minuti in cui snocciolano Festa mesta, Sonica e Nuotando nell’aria.
Bello. Fin troppo partecipato però... sembrava di stare da Vasco a San Siro.

Ad ammazzare la poesia ci pensa un tizio dietro di me… mentre Godano sussurra “nel letto aspetto ogni giorno un pezzo di te” quello fa: “lo so io che pezzo aspetta… figa!”.

Non ho ancora capito se con questo voleva dimostrare di aver colto la sottile metafora o se la sua era una semplice esclamazione. Non dimentichiamo che il concerto l’ho visto a Brescia, dove figa è la parola più usata dopo tondino.